L'associazione La Strada-Der Weg a Bolzano: un'esperienza di giustizia riparativa con i minori
La giustizia riparativa
L’idea di raccontare un’esperienza di giustizia riparativa nasce da un incontro fortuito con Ulli Oberlechner, psicologa e mediatrice, che da 22 anni è attiva nel servizio di mediazione con minori e coordina il servizio di Giustizia riparativa presso la onlus La Strada-Der Weg, in Alto Adige. Questo articolo è frutto di un lungo scambio che ho avuto con la dott.ssa Oberlechner. Incontro il concetto di «giustizia riparativa» per la prima volta in un corso di formazione sulla gestione dei conflitti e ne rimango subito molto affascinata. Quello che mi sembra rivoluzionario è proprio la ricerca di una «riparazione» a un torto, a un reato: la volontà di uscire dal binomio colpevole/punizione, la possibilità di entrare nella complessità dell’assunzione di responsabilità, del riconoscimento reciproco, dell’ascolto, per arrivare, infine, a una auspicabile riparazione, in cui qualcosa che si è rotto viene, appunto, riparato. Si tratta, principalmente, dell’instaurazione di un rapporto di fiducia, che impone una profonda trasformazione. Questo potere trasformativo mi ha infuso speranza, non avendo mai trovato soddisfacente il concetto di giustizia punitiva. Mi rimaneva sempre il dubbio che il colpevole ne uscisse – alla meglio – ancora più a pezzi e che questo, in fin dei conti, non servisse nemmeno alla vittima o alle vittime coinvolte. Non sono moltissime le pubblicazioni dedicate alla storia della giustizia riparativa. La lettura del volume Il libro dell’incontro. Vittime e responsabili della lotta armata a confronto, pubblicato nel 2021, è stata per me particolarmente illuminante e mi ha fatto conoscere per la prima volta il concetto di giustizia riparativa. Nel testo si ripercorre l’esperienza di mediazione messa in atto in Italia, tra alcuni responsabili della lotta armata degli anni Settanta, le vittime e i loro familiari e si fa riferimento anche al famoso caso esemplare costituito dal processo di giustizia riparativa messo in atto per riconoscere i danni subiti dalle vittime dell’apartheid in Sudafrica. Cos’è, dunque, la giustizia riparativa? Potremmo definirla come «un approccio innovativo nel campo del diritto penale, volto a promuovere la risoluzione di un conflitto che sia benefica per tutte le parti coinvolte, un approccio che esce da una logica punitiva e punta a un processo di mediazione e dialogo tra le parti, al fine di riparare i danni» (https://www.laleggepertutti.it/675635_giustizia-riparativa-cose-come-funziona-come-opporsi-al-rigetto). Nasce nel Nord America, negli anni ’80, da modelli di giustizia sperimentale con la definizione appunto di «restorative justice». La giustizia riparativa mira al riconoscimento delle responsabilità e al conseguente risarcimento della vittima, attraverso un percorso in cui la vittima e il reo insieme cercano di trovare attivamente una risoluzione di tutte le questioni che sono nate dal reato; tale percorso può essere esteso anche alla comunità allargata. Contrariamente a quanto comunemente percepito, la giustizia riparativa non si configura come una mera alternativa al tradizionale processo penale, né come un semplice meccanismo di riparazione del danno attraverso lavori socialmente utili. La partecipazione al programma può essere una iniziativa del giudice, oppure può avvenire su richiesta dell’imputato o della vittima. L’adesione a tali programmi è volontaria e libera da costrizioni. Nel sistema giuridico italiano la giustizia riparativa non può sostituire il processo penale, ma può coesistere con esso, come percorso parallelo. Può influenzarlo, ad esempio, come circostanza attenuante nella determinazione della pena o nella valutazione della gravità del reato, soprattutto nel caso di rei minorenni. Infatti, se l’intero percorso di giustizia riparativa viene concluso prima dell’inizio del processo, si può arrivare al punto di far decadere la prima udienza, perché magari la vittima ritira la querela o il giudice statuisce che non ci sono le condizioni per proseguire l’azione penale, perché il conflitto si è già risolto. A tale percorso possono accedere sia il reo che la vittima, in qualsiasi momento e grado del procedimento, oppure anche dopo la condanna. Il percorso di giustizia riparativa è gestito da enti specifici che organizzano e supervisionano l’attuazione dei programmi. Questi centri operano in collaborazione con le istituzioni giudiziarie su richiesta del giudice, dell’imputato o della vittima e in qualsiasi fase del procedimento penale. La riforma Cartabia del 2022, in Italia, ha reso questi percorsi accessibili gratuitamente a tutti e in maniera diffusa su tutto il territorio nazionale.
La funzione della giustizia riparativa
Secondo Oberlechner, la giustizia riparativa assolve più funzioni. Per il reo, l’aspetto prevalente è quello di misurarsi con le proprie responsabilità a livello psicologico. Mentre nel processo egli viene giudicato per il proprio comportamento, nel loro lavoro i mediatori stimolano e affiancano un processo di autoanalisi e di consapevolezza del minore, cercando di capire come ha vissuto la situazione, come spiega il suo comportamento, come vede le sue responsabilità, per arrivare a capire come si è sentita la vittima. Si tratta, insomma, di un lungo percorso, strutturato per misurare la maturità del minore: un lavoro importante sull’empatia e l’immedesimazione nella vittima. Di questo processo fa parte anche il tentativo di capire assieme al minore quanto è disposto a riparare ciò che ha danneggiato, anche in termini di relazione. Nel momento in cui si dichiara disponibile ed esprime il desiderio di confrontarsi con la vittima, di spiegarsi, di dare un senso a quello che ha fatto, i mediatori devono valutare se è in grado davvero di farlo e se questa situazione non sottopone la vittima a un nuovo trauma. Questo per quanto concerne la parte rea. Per quanto riguarda la vittima, invece, la funzione è quella di dare informazione, perché nel processo minorile non è prevista la parte civile, quindi nel momento in cui una persona sporge una querela contro un minore, è esclusa dal processo, solo in rari casi può venire chiamata come testimone. Dunque la vittima non ha alcuna informazione sull’esito del processo, se il querelato è stato condannato, se hanno trovato le prove. E questo rende impotente la vittima, perché ha la sensazione di non essere riuscita ad avere giustizia in qualche modo. Qui entra in campo il percorso della giustizia riparativa, che invece invita le parti offese a colloqui informativi sul processo e sul percorso che il minore sta effettuando, ma anche per coinvolgerle in una rivalutazione di quanto accaduto, offrendo loro sostegno e supporto. Questo è importante, perché in un reato c’è sempre una parte di perdita di controllo da parte della vittima e questo controllo va restituito, rendendo la vittima partecipe del percorso, coinvolgendola anche sulla formulazione del percorso di riparazione da parte del reo. Quando accedono ai percorsi di giustizia riparativa, i minori lo fanno perché vogliono riparare qualcosa, vogliono ridare alla società qualcosa che hanno tolto, o una sicurezza o un aiuto o la benevolenza. La scelta di partecipare a un percorso di giustizia riparativa, come detto, è libera ed è il pubblico ministero a proporlo. I genitori solitamente sono molto favorevoli, perché pensano che può essere molto vantaggioso rispetto al percorso penale, il che non è necessariamente vero, perché dipende dal comportamento del minore, dal suo coinvolgimento, dalla sua disponibilità a mettersi in gioco. Nei casi più gravi, per esempio quelli di violenza sessuale o di lesioni personali gravi, i mediatori e gli psicologi possono richiedere un allungamento del tempo del percorso e accedere a gruppi o percorsi terapeutici specifici e individualizzati. A volte, ad esempio, è necessario ricorrere a una perizia neuropsichiatrica. L’intenso lavoro svolto dai mediatori è piuttosto inusuale per i ragazzi, perché non sono abituati all’autoriflessione e punta molto sullo sviluppo dell’empatia.
L’esperienza de “La Strada-Der Weg”
Un punto centrale della giustizia riparativa è sicuramente l’incontro tra reo e vittima. Nell’esperienza dell’Associazione La strada la recidiva da parte dei minori è pari allo zero, in casi di incontro positivo tra vittima e reo minore. Quando il reo riesce a scusarsi, a prendersi le sue responsabilità e a spiegare il suo punto di vista e quando la vittima accetta le scuse, si guardano negli occhi e si dicono OK, da qui si può ripartire, ognuno per la sua strada, lì apparentemente succede qualcosa di magico tra le due persone. Il primo passo per il minore è sempre accettare di avere commesso un reato. Quando lo accetta succede qualcosa, scatta il desiderio di riguadagnare un ruolo dignitoso. Su questo aspetto i mediatori lavorano tantissimo. Ulli Oberlechner lavora molto insieme al suo staff con ragazzi di seconda generazione, con un background culturale e psicologico spesso difficile. In questi casi è importantissimo un lavoro di responsabilizzazione sul controllo delle proprie azioni, sui propri limiti, sulla differenza tra agire e reagire. Solo così può scattare il desiderio di «rimettere a posto», di riparare e «ripararsi». Ugualmente, anche nel caso della vittima, è spesso importantissimo un riconoscimento della propria parte, perché in un conflitto c’è quasi sempre una compartecipazione. Non è detto, però, che la vittima sia disponibile all’incontro, o che ciò sia auspicabile per rischio di ri-traumatizzazione, per esempio in casi di rapine armate o violenze sessuali. In questi casi, un’alternativa valida è la mediazione indiretta, in cui si usa un tramite nella mediazione, per esempio una lettera, un video, o una altra forma di scambio di informazioni che non sia l’incontro diretto. È di fondamentale importanza che la vittima si riappropri del proprio potere, del controllo e della sicurezza sulla propria vita dopo aver subito il reato e questo può avvenire tramite la comunicazione, e l’ascolto di quanto ha subito da parte del reo. Se però la vittima non acconsente nemmeno a una mediazione indiretta, si può ricorrere a mediazioni aspecifiche, ossia si chiede il coinvolgimento di vittime di reati simili che hanno fatto esperienze di mediazioni positive e che si mettono a disposizione in luogo della vittima reale. Questo non serve tanto nella riparazione vera e propria, quanto piuttosto nello spiegare al minore i processi intrapersonali che avvengono nella vittima, perché può parlare della sua esperienza, di come è stata vissuta la situazione, di quali sono state le conseguenze sulla sua vita, cioè di tutto quello che il minore cerca di non affrontare. Questo funziona molto bene quando si tratta di reati contro pubblici ufficiali, per esempio autisti, conduttori di treni, poliziotti, carabinieri. Nel caso dell’associazione La Strada-Der Weg i mediatori lavorano sempre in due, per garantire imparzialità e gli incontri di mediazione avvengono preferibilmente senza la presenza dei genitori, perché riguardano solo i partecipanti al conflitto. I genitori possono chiaramente accompagnare i loro figli, ma viene loro chiesto di rimanere fuori dall’aula. Spesso è anche necessario un lavoro di mediazione tra i genitori delle parti in causa, perché se i genitori sono in forte conflitto non serve a niente fare una mediazione tra i minori. Oberlechner racconta che l’anno scorso (2023) il suo team ha seguito 115 minori, 80 vittime, i loro genitori, più 5 reati commessi a scuola da minori di 14 anni. Di tutti i soggetti coinvolti, solo 11 non hanno voluto aderire al percorso di giustizia riparativa. In Alto Adige nei tribunali per minori vige un’impostazione più educativa che punitiva, per cui la tendenza è quella di mettere i minori colpevoli di reato in comunità restrittive. Molto raramente si ricorre al carcere minorile. A volte i ragazzi scappano dalle comunità (che sono comunque luoghi traumatizzanti per i ragazzi) e dunque, se ripescati, finiscono in carcere, per poi ritornare in comunità. Tutti i ragazzi che fanno questo passaggio comunità-carcere-comunità sono in qualche modo segnati, afferma Oberlechner. È un percorso che fa aumentare la rabbia contro il sistema, contro i genitori, contro gli educatori, la polizia, il sistema giudiziario, dunque questi ragazzi sono in lotta contro il mondo. Nella giustizia riparativa sono previsti anche percorsi post pena carceraria. Certamente, in questi casi il percorso diventa più faticoso, perché la fiducia dei ragazzi nei confronti degli adulti è cambiata e ci vuole molto più tempo per entrare in relazione con loro. Sono sempre in difesa, abituati a essere giudicati e mettono a dura prova. Quello che funziona in queste situazioni è proprio il fatto che i ragazzi non si sentono giudicati dal servizio di mediazione e quindi col tempo si apre una disponibilità alla relazione e al dialogo. Ho chiesto alla dott.ssa Oberlechner dove si collocasse precisamente l’atto di riparazione in tutto questo percorso, che mi pare il concetto più straordinario di questo processo. A suo avviso la riparazione inizia già col primo colloquio, quando i soggetti cominciano a raccontare quello che hanno vissuto, che siano vittime o rei. L’atto di raccontare in forma libera quello che è successo, quello che i soggetti hanno provato e sentito, ciò che li ha toccati o meno, quello che si ricordano è solitamente molto distante da quanto è scritto negli atti. Tramite tutto ciò inizia una riparazione, che ognuno sviluppa individualmente, qualunque sia la sua posizione nel conflitto. Quando poi i mediatori percepiscono che nel reo nasce il desiderio di confrontarsi, di voler restituire una propria versione, una spiegazione, delle scuse o anche solo la rabbia, se magari c’è stata una provocazione o un cattivo comportamento, allora vuol dire che sono pronti per fare l’incontro, c’è terreno per mettere insieme le due parti del conflitto. E quello è il secondo atto di riparazione, una riparazione profonda che avviene nella loro relazione, nell’incontro che i mediatori non sanno mai a priori come si svolgerà e come andrà a finire. Loro forniscono la cornice, ma i protagonisti sono le due parti in causa. Se la vittima riuscirà ad accettare le scuse, lì c’è la vera riparazione. È vero che questo processo ha molto a che fare con l’ascolto, con l’essere ascoltati nelle proprie ragioni e versioni dei fatti, col non sentirsi giudicati, col trovare un proprio spazio di riconoscimento sia da parte del reo che della vittima. Talvolta, però, non c’è neanche bisogno di parlare, racconta Oberlechner, ci sono state mediazioni con percorsi difficilissimi che al momento dell’incontro si risolvono, quando la vittima entra nella stanza, vittima e reo si abbracciano e se ne stanno così abbracciati, senza dire niente. Lì si capisce che c’è già stata la riparazione. Questo è il senso di un percorso di giustizia riparativa rispetto a uno di giustizia punitiva, che non aiuta quasi mai nel percorso di consapevolezza, della comprensione delle cause del reato, di cosa fare per non ripeterlo, di non ricadere nella stessa dinamica. Tutto ciò è più facile quando si lavora con i minori, ma non esclude che possa funzionare anche con gli adulti. Già il fatto di essere riusciti a conoscersi un po’ di più e a riconoscere l’altro è un qualcosa che il carcere non può dare. Grazie alla riforma Cartabia, che pure non mette realmente in discussione il sistema carcerario, né va a incidere profondamente in una sua riforma, si possono attivare alcuni percorsi che consentono l’aspetto riparatorio, anche senza il consenso della vittima all’incontro di mediazione. Ciò permette un importante lavoro con il minore, in un certo senso la società, rappresentata dagli psicologi, fa un lavoro di mediazione col minore al posto della vittima. Anche grazie a questa riforma stanno nascendo in Italia diversi altri servizi e centri di giustizia riparativa, anche perché sono stati messi a disposizione alcuni fondi da parte del Ministero della Giustizia. L’attività de La Strada-Der Weg, tramite i suoi percorsi di giustizia riparativa, si inserisce, a mio avviso, in un solco di esperienze trasformative della società che, nello specifico, aprono sguardi e visioni rispetto al concetto di giustizia, che aiutano a immaginare un superamento del sistema vigente (che sta crollando e sta mostrandosi sempre più in tutta la sua inefficacia e crudeltà), capovolgendo il concetto stesso di colpa e di punizione. Piccoli semi che capillarmente possono far germogliare nuove strade più sostenibili umanamente e politicamente.
Associazione La Strada-Der Weg L’Associazione La Strada-Der Weg nasce nel 1978 ad opera di un gruppo di volontari che affiancarono don Giancarlo Bertagnolli nella creazione di una comunità alloggio per persone disagiate e una comunità terapeutica per tossicodipendenti. Oggi l’associazione La Strada-Der Weg è un’ organizzazione molto articolata, che opera in vari settori del privato sociale. Circa trecento dipendenti, affiancati da volontari, decine di persone impegnate nel servizio civile provinciale e nel servizio sociale volontario, (dati Bilancio Sociale 2023) tirocinanti, operano quotidianamente in diversi ambiti:
- sostegno a bambini e minori in situazione di disagio;
- recupero di giovani e adulti con problemi di tossicodipendenze e con disagio psichiatrico;
- pari opportunità;
- assistenza a donne vittime di tratta e sfruttamento del la prostituzione;
- accompagnamento abitativo e lavorativo di fasce deboli;
- prevenzione alla violenza sui minori;
- consulenza su varie forme di disagio sociale;
- sviluppo della cultura giovanile e sportiva tramite la gestione di centri giovani, servizi di doposcuola, servizi a favore della famiglia.