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Editoriale n. 9

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Nei suoi noti romanzi distopici, La fattoria degli animali (1945) e 1984 (1949), George Orwell, geniale scrittore inglese socialista e libertario – a cui è dedicato un ritratto delle nostre Radici; l’altro presenta la figura della femminista anarchica Emma Goldman – ha descritto i tratti di società cupamente totalitarie e oppressive. Dove il sogno della costruzione di un mondo perfetto si risolve nell’incubo di un controllo poliziesco della società: ossessivo, onnipervasivo e parossistico. Se La fattoria degli animali è palesemente una parodia del totalitarismo sovietico, in 1984 vediamo tratteggiata una società che appare come una sorta di ibrido dei regimi nazifascista e comunista. Diversi lettori e ammiratori di Orwell hanno interpretato il secondo e più ambiguo romanzo anche come un monito contro la possibile degenerazione delle democrazie verso sistemi politici avversi alla libertà del pensiero e allo sviluppo spontaneo della personalità. Che il mondo attuale nel suo complesso – i regimi smaccatamente autoritari e totalitari, ma anche l’insieme di Stati ascrivibili al campo delle democrazie liberali – presenti, dove più dove meno, tratti distopici, «orwelliani», è un fatto evidente per chi sappia osservare la società con spirito libero e critico. Rinascita e consolidamento di movimenti e partiti di ispirazione neofascista; aumento dei fondamentalismi religiosi; diffusione, a destra e a sinistra, di tendenze populiste, demagogiche e verticistiche; crescita esponenziale del controllo sociale per mano pubblica o privata; irregimentazione delle masse; diffusione e imposizione di forme di pensiero unico; insofferenza e intolleranza verso il pensiero critico e il dissenso: l’autoritarismo ha assunto i tratti di una vera e propria pandemia politica. Tra i dati più inquietanti che concorrono a formare questo quadro a tinte fosche, continuano a risaltare, con drammatica forza, soprattutto quelli relativi alle guerre e al mutamento climatico. I molteplici e sanguinosi conflitti che infiammano il mondo – in Medioriente come in Ucraina e in numerosi altri paesi, di cui poco o nulla si parla – evidenziano, come abbiamo già scritto, il fallimento della governance multilivello. È sempre più manifesta l’incapacità delle istituzioni internazionali, che si dicono preposte alla sicurezza sociale, alla tutela e al benessere dei popoli, di por fine alla sofferenza delle popolazioni civili. Appare altresì chiara la mancanza di una visione politica di ampio respiro, capace non solo di disegnare un percorso verso una pace giusta, ma anche di pensare con coraggio alla rimozione della cause che sono all’origine delle contese armate. Ma a infiammare il mondo contemporaneo non sono solo, metaforicamente, le guerre. La questione climatica, come aveva preconizzato Murray Bookchin fin dagli anni Cinquanta del Novecento, svela ogni giorno di più i suoi presupposti e risvolti sociali. L’aumento delle temperature, la siccità e la destertificazione, gli eventi climatici estremi, come i roghi di larghe parti del patrimonio boschivo, le inondazioni, lo scioglimento di ghiacciai millenari, la crescita della popolazione e la difficoltà di accesso alle risorse idriche di acqua dolce, stanno provocando una radicale modificazione del mondo naturale, che va nel senso della semplificazione, dell’alterazione dei fragili equilibri su cui si reggono gli ecosistemi, della scomparsa di un numero crescente di specie vegetali e animali. Questi stessi eventi, che sono il prodotto di un certo modello di sviluppo, di una specifica economia e di un determinato assetto sociale, causano, e ancor più provocheranno in futuro, modificazioni sociali e politiche radicali, quali spostamenti repentini di fasce significative della popolazione mondiale, lotta disperata per le risorse naturali vitali, aumento delle diseguaglianze e difesa sempre più accanita dei privilegi. Il sistema politico ed economico fondato sugli Stati e sull’economia capitalista mostra tutti i suoi limiti e le insanabili storture a cui dà luogo. Il fatto è che il governo mondiale, più che costituire la soluzione di questi problemi, ne rappresenta, al contrario, in gran parte la causa. Esso è infatti il principale artefice dell’«anarchia», nell’accezione che a tale termine attribuiscono gli Stati e i loro apologeti: un caos generalizzato, un disordine sociale, la guerra di tutti contro tutti, la violenza e la sopraffazione dei più deboli da parte dei più forti. Un profondo cambiamento culturale, politico ed economico si impone alla nostra società. Esso non può che iniziare dall’acquisizione di una vera consapevolezza delle cause di questi mali politici, sociali ed economici. E deve necessariamente proseguire con la ricerca di soluzioni concrete e immediate, ma al contempo capaci di incidere profondamente nella realtà, determinando un cambiamento generale di indirizzo. Lo ripetiamo: «Semi sotto la neve» è una piccola rivista, che raggiunge un numero limitato di lettrici e lettori. Insieme ad altre piccole realtà dell’editoria e dell’informazione, può tuttavia contribuire a fa crescere la coscienza critica della società. Ambisce in effetti a svolgere questo ruolo, con la forza di chi è persuaso che la pars construens, la progettualità sociale fondata sulla libertà e sul mutuo appoggio, sia altrettanto, se non più importante della pars destruens, della critica radicale e demolitrice dell’esistente, che rischia di risolversi in uno sterile esercizio di retorica politica, qualora non si abbia ben chiaro ciò che si vuole sostituire a quanto ci si propone di eradicare. Ed ecco cosa troveranno in questo numero lettrici e lettori.

Nelle esperienze: Albert Torrent Font ci racconta la vita dell’Università Popolare Autogestita di Barcellona. Frutto di un rinnovato interesse per la pedagogia libertaria e calata in una struttura sociale, come la terra catalana, da 150 anni fucina inesauribile di esperimenti anarchici e libertari, essa si propone come una nuova realtà educativa, capace di mettere in discussione il modello accademico convenzionale. Annalisa Bertolo ci fa conoscere l’attività della onlus La Strada-Der Weg, in Alto Adige, organizzazione che opera in vari settori del privato sociale e che in specie contribuisce ai programmi di giustizia riparativa che coinvolgono minori autori di reati, le loro famiglie e le vittime. Prezioso appare il tentativo di costruire percorsi alternativi a quelli fondati sulla punizione e detenzione, volti cioè alla riconciliazione pacifica e nonviolenta tra le parti e al recupero psicologico e sociale del reo. Juanita Roca Sánchez ci guida dentro l’esperienza dell’ostello ecosostenibile Chalalán, tra le principali imprese ecoturistiche in Bolivia. Situato all’interno del Parco Nazionale Madidi, è una struttura che rappresenta il risultato dello sforzo di sopravvivenza e rigenerazione di una comunità indigena amazzonica remota, che gode di una vita in autonomia, lontana dalla civilizzazione occidentale.

Negli approfondimenti: Mariangela Mombelli ed Enrico Ruggeri propongono una riflessione a tutto tondo sul rapporto tra prospettiva di genere e alimentazione, evidenziando come gli stereotipi socio-culturali, in particolare quelli di genere, hanno da sempre influenzato lo stile di vita delle persone e come ciò che introduciamo nei nostri corpi e il significato che viene attribuito a questa azione sono un vero atto politico, anche in termini di sostenibilità ambientale. Giuseppe Mosconi compie una serrata analisi e una critica pungente del sistema carcerario, muovendo dai drammatici dati che riguardano i penitenziari italiani, coi loro oltre 60 mila detenuti e un tasso crescente di suicidi. L’enfasi posta sulla questione del sovraffollamento, spiega Mosconi, non può oscurare le molte problematiche connesse al carcere, alle sue radici e funzioni sociali, all’aggravarsi delle condizioni di vita interne. L’insieme di queste osservazioni porta a cogliere analogie tra l’irreversibile e crescente violenza del carcere e la guerra. In una attenta disamina geopolitica condotta con sensibilità libertaria ed ecologista, Marco Antonioli evidenzia le lotte per il potere e le contraddizioni della Conference of Parties, la riunione annuale dei Paesi che hanno ratificato la Convenzione Quadro dell’ONU sui Cambiamenti Climatici, che si terrà a breve in Azerbaijan: scelta che rivela lo scarso interesse per i risultati della conferenza e la complicità con le politiche autoritarie della Stato azero. Infine, Francesco Spagna cerca di delineare l’intreccio tra l‘antropologia culturale e il pensiero anarchico, attraversando il pensiero di diversi autori, da Lévi-Strauss a David Graeber, ed evidenziando l’importanza di muoversi su due versanti: da una parte i modi attraverso i quali l’antropologia culturale si rifonda in epoca postcoloniale; dall’altra la questione attinente gli ideali che antropologia culturale e anarchismo si sono trovati a condividere sul tema della «natura umana».

Nell’Internazionale: This Bear Hits Fascists, voce indipendente dalla California, evidenzia l’attualità del mutualismo, vera e propria «terza via» tra capitalismo e comunismo, una forma di socialismo radicalmente decentralizzato basato sul mercato. Nell’economia mutualista sia le imprese che i servizi pubblici sono gestiti democraticamente dai lavoratori sulla base della gestione paritetica, proprio come fanno migliaia di cooperative di proprietà dei lavoratori già esistenti.

La Conversazione di questo numero si svolge tra il collettivo redazionale di «Semi sotto la neve» e lo storico Giampietro (Nico) Berti, tra i più eminenti studiosi dell’anarchismo, attivista anarchico negli anni Sessanta e Settanta. Berti ripercorre il suo folgorante incontro con l’anarchismo e gli anarchici, all’inizio degli anni Sessanta, la militanza nei G.A.F. e l’elaborazione del concetto di tecnoburocrazia, sottolineando la necessità, per l’anarchismo, di aprirsi al confronto con altre tradizioni di pensiero, come il liberalismo, e di riflettere sulla crisi profonda della democrazia contemporanea.

Francesco Codello prende spunto dal centenario della nascita di Colin Ward, principale ispiratore di «Semi sotto la neve», per proporre alcuni passi tratti dai suoi scritti, poiché le sue riflessioni, così come i suoi articoli e i suoi libri, costituiscono un riferimento continuo per la redazione della nostra rivista e sono forieri di stimoli sempre attuali per chi cerca di vivere gli ideali libertari in modo nuovo e propositivo.

Felice Liperi dedica la sua rubrica agli chansonniers francesi, da Aristide Bruant, ad autori come Brel, Ferrè, Trenet, Vian, Brassens, Gainsbourg, artisti che hanno formato generazioni di francesi, diffondendo spirito critico e ideali antiautoritari, influenzando, fuori della Francia, numerosi cantautori, a partire dal «nostro» Fabrizio De André.

Infine, è proposta una discussione ragionata sul recente volume di Guido Candela, Economia e persona tra pensiero libertario e pensiero cristiano (FrancoAngeli, 2024), che riflette sul confronto tra il pensiero libertario e anarchico e quello della teologia sociale della Chiesa cattolica. Pensieri minoritari, ma che meriterebbero maggiore attenzione, in virtù del loro afflato a superare un’arida prospettiva economicista.

Questo numero è accompagnato (per gli abbonati) da un supplemento, dedicato alla figura del compianto artista e amico Roberto De Grandis (1956-2023). «Semi sotto la neve», rivista che Roberto ha seguito davvero col cuore, come si evince dal toccante ricordo autobiografico, che lettrici e lettori troveranno all’inizio del volume, ha voluto riproporre i tredici notevoli ritratti creati da Roberto per le nostre «Radici», insieme ai relativi profili biografici. Un omaggio, voluto ancor più che dovuto, a chi ci ha fatto dono gratuito della sua arte.

Vi invitiamo a continuare a sostenerci economicamente, a criticarci, a proporre idee e temi di approfondimento. La partecipazione non esaurisce la libertà, ma ne è parte fondante!