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Editoriale n. 8

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Prima di entrare nel dettaglio del numero, pare opportuno un sia pur rapido accenno a due questioni che appaiono particolarmente rilevanti, rispetto alle quali ci sentiamo di condividere con le nostre lettrici e i nostri lettori una posizione di redazione. Al momento in cui mandiamo in stampa la rivista, la tensione politica internazionale non accenna a decrescere e se apriamo i giornali o consultiamo le notizie sul web, non possiamo fare altro che essere presi dall’angoscia. Dilagano le notizie sui conflitti, ormai intrecciati in un sistema sempre più complesso di appoggi, alleanze e minacce. In questa difficile situazione, il nostro modesto apporto non può essere altro che un appello perché tutti gli scontri armati cessino al più presto.
La carenza e l’indebolimento di relazioni fondate strutturalmente sul mutuo appoggio, li vediamo e tocchiamo nel nostro mondo in vari ambiti, dal globale al locale.
Nell’ambito della politica interna, ad esempio, un tema che ci tocca sempre più da vicino è il graduale smantellamento della sanità pubblica, che sperimentiamo con sempre più lunghe liste di attese a causa della carenza di personale. I minimi investimenti nella sanità degli ultimi anni causa la fuga di moltissimi medici e infermieri al settore privato o all’estero, ma quello che più preoccupa è non vedere nessuna soluzione all’orizzonte.
Questo secondo spunto ci permette di iniziare la presentazione del numero dagli articoli dedicati al tema della medicina e della cura. In questo numero affrontiamo infatti il tema della medicina di genere e la sua recente inclusione nella medicina occidentale. Non si parla di medicina «delle donne», ma di un’apertura atta a valutare la cura dei disturbi secondo parametri più ampi, che tengano in conto che le differenze tra persone non sono solo biologiche ma anche ambientali, culturali, sociali, economiche. Il concetto della cura, ampliato al «prendersi cura di…» può essere centrale nella gestione politica delle relazioni e per modificare equilibri. La prospettiva individualista che è alla base del sistema capitalistico ha permeato la visione che abbiamo dell’altro e ci ha abituato alla delega della cura, considerando l’interdipendenza una questione di debolezza, associata all’ambito femminile (versus l’indipendenza e la forza, che identifica nell’immaginario tradizionale l’ambito maschile).
Per poter immaginare un mondo basato su diversi rapporti sentiamo la necessità di affrontare gli equilibri che si instaurano in famiglia, prima comunità nella quale impariamo a muoverci. A questo proposito, una citazione è per il film C’è ancora domani di Paola Cortellesi, che con linguaggio poetico ha portato nel mainstream una riflessione sul lungo processo (ancora in corso) di emancipazione delle donne nella società italiana, toccando temi fondamentali, come i modelli ereditati di relazione tra uomo e donna, ed esprimendo la necessità di istituire nuove relazioni famigliari basate sulla collaborazione e l’amore, invece che sulla sopraffazione. Il merito del film ci pare ovviamente non risieda nella questione del voto, quanto nel riconoscere che siamo ancora figli di quei modelli di relazione e che finché non riusciremo ad offrire nuovi modelli ai nostri figli e alle nostre figlie non possiamo sperare che scompaiano le disuguaglianze.
In questo numero affrontiamo sotto varie angolature la questione dell’essere membri di una comunità all’interno di comunità, dal micro al macro. La necessità di trasformarci in membri pienamente responsabili della nostra comunità è fondamentale per la salvaguardia della grande casa in cui viviamo, l’ambiente. Un approfondimento che definisce l’eco-anarchismo ci ricorda come le nostre intime famiglie primarie si inseriscano in comunità locali e che a loro volta si ineriscono in comunità regionali sia umane che più-che-umane (la Terra intera).
Sul rapporto con la natura e le piccole comunità, un altro film recente degno di nota è Un mondo a parte, di Antonio Albanese, che fa luce su due temi fondamentali: la sopravvivenza dei piccoli borghi periferici rispetto alle grandi città, e la scuola come cuore di una comunità. È proprio dalle piccole realtà che dobbiamo ripartire per poter aspirare a cambiare le cose. E a questo puntiamo con questa rivista, presentando, sostenendo e diffondendo esperienze che esistono nonostante tutto e dalle quali possiamo trarre spunto.
Sul ruolo che ciascuno di noi può avere nel cambiamento in senso libertario dei rapporti sociali, utili indicazioni vengono sia dall’articolo di Francesco Codello, che tratta il tema dell’anarchismo pragmatico o post-negativo, che da quello di Samuel Clarke, che descrive il funzionamento di una cittadina secondo principi libertari. Le conclusioni dell’articolo di Clarke, che apre questo numero, potrebbero essere utilizzate per un Manifesto della nostra rivista: «Se nel mondo ci sono pratiche anarchiche che esistono da più tempo del nostro inferno capitalistico, allora dobbiamo solo riaccendere quelle pratiche. Non dobbiamo necessariamente costruire una nuova utopia apparentemente aliena, dobbiamo solo incoraggiare i valori umani che precedono la nostra attuale distopia».
Il nostro immaginario è infatti così prigioniero di modelli e valori propri della società capitalista, che non riusciamo nemmeno a pensare che ci possano essere reali alternative. L’antropologia culturale, fortunatamente, ci ricorda come nella storia e nella geografia ci siano stati numerosissimi esempi di società organizzate in modi diversi e deve indurci a meditare sul fatto che quelli che molti sono portati a considerare dei dati naturali immodificabili, sono in realtà il riflesso di una visione culturale. E ci offre anche una speranza dimostrando che l’autorganizzazione che è scaturita storicamente in tante piccole comunità possa continuare ad essere la base delle interazioni umane.
Queste riflessioni ci portano al toccante resoconto che abbiamo ricevuto dalle carceri dell’Indonesia: il linguaggio fresco e sincero del compagno incarcerato ci permette di comprendere i diversi sensi che può avere la parola resistenza, e come in ogni situazione si possa cercare di cambiare le cose senza dare per scontato di doversi adeguare al sistema (e alla sua corruzione).
Il tema del mutuo appoggio costituisce il tratto distintivo di molti contributi. Per esempio, l’articolo di Alberto Franchini ci sembra importante perché ci ricorda che anche fare la spesa è un atto politico, mentre l’esperienza dei gruppi di mutuo aiuto, raccontata da Bruno Miorali, ci riporta all’importante ruolo di responsabilità di ognuno di noi all’interno di ogni piccola comunità.
In termini economici, aspetti centrali legati alla solidarietà o alla sua assenza sono trattati rispettivamente nella conversazione tra Piketty e David Graeber e nell’approfondimento dedicato alla dottrina «anarco-capitalista» che ha portato Milei al governo dell’Argentina.
Nella rubrica Radici presentiamo i profili di un grande classico dell’anarchismo, Errico Malatesta (1853-1932), e di una scrittrice libertaria scomparsa recentemente, Ursula K. Le Guin (1929- 2018). Nella sezione musicale presentiamo infine un’intervista a Andrea Satta, dei Tête de Bois, che ripercorre la sua carriera come un viaggio nei paesaggi quotidiani e famigliari, senza dimenticare «l’amore e la rivolta».

Abbiamo bisogno, più che mai, di un anarchismo e di una visione libertaria che siano coscienti dei valori positivi e costruttivi che propongono. Per tale ragione, ci sforziamo di mostrare cosa ciascuno di noi può fare nel suo piccolo, vivendo coerentemente coi propri ideali e poi nelle relazioni con gli altri. La prima sfida è instaurare relazioni sane, permeate da pregiudizi o gerarchie. È riuscire ad applicare i principi di uguaglianza e solidarietà alla nostra vita quotidiana, nelle scelte di tutti i giorni.

Buona lettura! E continuate a sostenerci, come state facendo!